Capita, spulciando qua e là su giornali e blog o prestando orecchio e sguardo ad uno dei tanti e chiassosi talk show che infestano il pomeriggio televisivo, di imbattersi in pompose e magniloquenti riflessioni riguardo la morale e la sua, presunta, crisi.
Ecco che spunta un tronfio giornalista, che redige articoli, zeppi di cliché e luoghi comuni, sul decadimento della società e dei costumi aviti. Mentre, poco più in là, un fanciullo decreta, su di un proscenio virtuale, la morte della scienza etica, dopo averne asserito l’evidente inutilità. Si potranno vedere o leggere, allora, orde di perbenisti e pseudo filosofi e psicologi comportamentali stilare ricette su come redimere la civiltà moderna.
Tutti accomunati, pur nell’eterogeneità delle loro opinioni, dalla totale insipienza rispetto all’argomento. I più completamente incapaci di delineare una definizione – quand’anche fosca e annebbiata – di morale. Gli altri invece, se interrogati a tal proposito, ciarlerebbero di leggi, di tendenze psichiche e di educazione. Ma anche costoro non c’entrerebbero il punto fondante della questione, e sarebbero risucchiati da un vortice di sproloqui, corbellerie, relativismi e valori veri o presunti.
Infatti latita ciò su cui si dovrebbe erigere la morale, che non può riconoscersi in una sterile lista di proscrizioni. Perché è altro rispetto a queste. E che cos’è l’etica se non il segno più caratterizzante della specie umana? Che cos’è se non il regno della coscienza che, ripiegandosi su se stessa, si autogoverna? E dunque, in tale ottica, non è possibile perdere di vista l’agire umano, in cui si gioca l’essenza della materia morale. In ogni singolo comportamento è presente tutta l’etica. E’ una dimensione di decisioni nette, che vincolano l’uomo, in considerazione della loro natura definitiva e irreversibile, e che non accettano mezze misure. Non può esistere un’azione al contempo giusta e sbagliata. E quindi è la volontà umana, che regola la condotta, ad erigersi quale a priori etico, siccome da questa derivano poi i gesti virtuosi o oltraggiosi che danno adito a quelle disquisizioni sopra citate. E’ il volere umano che si pone alla base dell’etica ed è su questo che l’etica deve agire, in uno scambio di influenze tra soggetto e oggetto.
Dunque è inutile parlare di crisi morali e di decadimento morale, o – peggio – delineare sistemi netti e precisi di comportamento: così facendo si perde di vista il vero e solo a priori morale, che peraltro mostra la natura pragmatica di tale disciplina. L’etica si configura, in definitiva, come qualcosa di cui è sterile e perfino dannoso parlare e che, al contrario, bisogna praticare, in quanto non è possibile cogliere e cristallizzare in un assoluto trascendente ed idealizzato ciò che si pone a inizio e a principio di essa. Sarebbe meglio che tutti questi Soloni dediti allo sproloquio cessassero le loro attività eristiche ed iniziassero a fare. Ad agire. A far essere l’etica.